CRITICA

GALLERIA ORLER – Marcon (Venezia)

Matematica e arte hanno una lunga relazione storica. Già gli antichi Egizi e i Greci conoscevano il rapporto aureo, una sorta di proporzione divina utilizzata per ottenere una dimensione armonica delle cose. Proporzioni matematiche si trovano nelle sculture di Policleto, nei dipinti rinascimentali di Piero della Francesca o di Leonardo da Vinci. Sequenze matematiche e forme geometriche ispirano artisti contemporanei e ancora oggi le leggiamo nelle realizzazioni di paesaggi naturali o virtuali. Numeri e teorie matematiche vengono applicati alla rappresentazione del reale o alla realizzazione di spazi e dimensioni che vanno oltre la percezione visiva. Matematica, geometria e arte si coniugano, trovando un loro personale legame, generando un dialogo sinergico nella produzione di Agathos. Un dialogo aperto all’interpretazione soggettiva dell’osservatore, nel quale al rigore scientifico della matematica l’Artista affianca l’irrazionalità del sentimento, dell’emotività. Agathos, al secolo Carlo Franzoso, è infatti matematico e artista, senza dubbio tra i più audaci, innovatori ed enigmatici. Di origini salentine trova in Toscana l’ambiente ideale per alimentare la propria vena artistica, ispirata fortemente al criterio e al metodo razionale dei suoi studi scientifici. Autodidatta in pittura, sicuramente non accademico, Agathos per certa critica è riconosciuto come il caposcuola dell’Espressionismo Matematico, Lui che è il fondatore della ‘Transgeometria’, o ‘Geometria rifratta’. E’ uno dei maggiori esponenti della ‘New Mathematical Art’, e nel suo nuovo linguaggio pittorico propone una rivisitazione di tante correnti di pensiero, dal Cubismo al Futurismo, dal Suprematismo Russo all’Astrattismo Geometrico. L’originalità di questo artista sta nella realizzazione di opere caratterizzate da forme geometriche libere di muoversi in uno spazio che non sembra rispondere ad una dimensione fisica statica e razionale, una dimensione oggettiva, ma è lo spazio della mente e delle idee, della percezione umana, è uno spazio che non ha dimensione, uno spazio idealizzato e vitale. Il cromatismo è decisamente espressionista, domina una tavolozza vivace, accesa, carica di una forza energetica e calda, quasi passionale, perché il colore ha la sua valenza psicologica. Ogni colore esprime uno stato d’animo e influenza la nostra vita, dà sensazioni personali, piaceri diversi da persona a persona. Nel colore l’artista esprime quindi un linguaggio emotivo che gli permette di evidenziare aspetti psichici altrimenti non comunicabili. Il colore diventa allora nei lavori di Agathos una sensazione. Giorno e notte, buio e luce, vitalità e passività, eccitazione e inerzia, sono le sensazioni che l’Artista descrive attraverso una fusione di colori talvolta contrastanti ed opposti. Un sottile dualismo, una complementarietà più che conflitto, una sorta di fusione tra razionale e irrazionale caratterizza le opere di Agathos: razionalità, quella matematica, che si ritrova nelle forme geometriche, ed impulso, quello generato dalla libertà espressiva. Pennellate rapide e dinamiche, un segno deciso, un gesto spontaneo, anche se guidato dalla razionalità mentale, sembrano voler allontanare l’artista dal rigore e dalla schematicità matematica, che rimane però nelle forme, ora spigolose, ora più morbide e sinuose, e ogni forma corrisponde a diverse pulsioni interiori, profonde e decise quando predominano angolature e tridimensionalità. Più superficiali e labili se le dinamiche sono attenuate da linee incurvate. E’ attraverso la matematica che Agathos esplora la dimensione più profonda e più intima dell’esistenza, ricercando in essa diversi sentimenti, diversi stati d’animo, diversa emotività.

 

 

GIAN RUGGERO MANZONI

PER UN’ARTE QUALE RINNOVATA DIDATTICA

OTTO GENESIS – olio su tela – 80×80 – 2012

Sempre più profonda e tecnicamente definita sta apparendo la ricerca pittorica di Carlo Franzoso, in arte Agathos, fondatore della cosiddetta “Transgeometria” o “Geometria rifratta”, nonché ritenuto il maggiore esponente contemporaneo della “Mathematical Art”, cioè quel progetto intellettuale, di antica memoria, oserei dire “iniziatica”, che mira a coniugare l’arte con la matematica, di cui il pittore, di origini pugliesi, ma dimorante da anni in Toscana, è studioso e docente.

Spesso si è avvicinato, il suo fare, al Cubismo e, in particolare, al Suprematismo russo, ma, a mio avviso, è all’Espressionismo Astratto che, per tendenza stilistica, necessita ricondurre l’opera di Agathosso, quindi a quel porsi che fu dei grandi  Wassily Kandinsky (che scrisse un capolavoro come Lo Spirituale nell’Arte) e Paul Klee, cioè alla combinazione dell’intensità emotiva e autoespressiva di certi maestri tedeschi con l’estetica anti-figurativa scientista delle scuole di astrazione europee, a cui aggiungere l’attenzione per la linea e il colore e il ritenere il quadrato e il rettangolo forme tipo in cui “l’ambiguità della curva” viene, volutamente, messa da parte.

Inoltre, ciò che mi induce ad affermare questo, sono, ad esempio, l’enfasi (quale alto profilo dovuto al trasporto creativo) nell’affrontare la superficie piatta della tela e l’approccio, a tutto campo, con la stessa, nella quale ogni area dello svolto viene curata con la medesima concentrazione e ingegnosità, in modo che nulla risulti estraneo all’insieme.

Perciò: metodo, perizia, maniera ben definita, al fine di creare un modus operandi riconoscibile e oltremodo personale, in cui il lirismo, in accezione prettamente poetica, si fa largo, testimoniando la predisposizione allo stupore che è tipica del nostro, sia in accezione artistica che umana.

Il passo successivo, per i motivi che ho enunciato in apertura, è la trasformazione dell’astrazione in dimensione espressiva in cui la rilevanza geometrica via via prende sempre più piede in blocchi sequenziali. Solo a questo punto è importante ripensare, per rimandi di ordine concettuale, ad artisti come Malevic, Mondrian, Albers, Kupka, Loew, Newman, Reinardt, Scully, Zox e agli italiani Magnelli, Reggiani, Dorazio, Rho, Radice, Ponente, Veronesi o ad Atanasio Soldati, per comprendere la sostanza e la ragione di quella probità che riconosciamo come carattere essenziale anche in Agathos, ovvero l’eticità di un fare che mai è dimostrazione, ma sempre ricerca.

Scriveva Ponente: “Dei mezzi che ho a disposizione (il colore, lo spazio, le forme) sono sicuro per lunga padronanza, epperò l’intelligenza critica mi suggerisce che possono essere impiegati sempre per altre soluzioni”.

Del resto l’essere pronto, di continuo, ad aprire nuove strade, a seguire fili ulteriori d’invenzione, a riprendere in chiave diversa riflessioni già svolte è atteggiamento tipico dello scienziato, oltre che dell’artista di levatura.

Agathos, perciò, ha attraversato il lungo guado dell’arte novecentesca assai più avvincendosi alla qualità e alla natura dell’andare che non alla certezza della meta, quindi affidandosi all’avventuroso, più volte chiamato in scena dall’art autre, per la quale il cammino si forma sempre “sotto i passi che danno futuro”.

Lo storico dell’arte Pier Carlo Santini, a tal proposito, scriveva, rivolgendosi al fare di Soldati: “[…] anche nei periodi di più connessa e univoca determinazione stilistica, non esperisce un limitato repertorio di forme, per poi passare in una fase successiva a nuove inedite soluzioni; compie, piuttosto, incessantemente, dei sondaggi a tutto campo che si affiancano e si alternano con le opere di più stabile definizione formale: sondaggi che vengono talora ripresi e condotti innanzi, e restano talaltra senza seguito, o vengono abbandonati, come poi pare si dipani la teoria evoluzionistica delle specie”.

Quindi: astoricità, assenza di confini statuiti, il perenne aprire fronti problematici, il porsi in accezione “antigraziosa”, il colore come struttura… tutte componenti che divengono cifra stilistica di indubbia caratura intellettuale.

Infatti anche la componente cromatica è, in Agathos, parte integrante dell’opera stessa. Risulta, infine, quale codice, quale dominante così da costituire quell’universo in cui il dipinto fluttua, si espande, si dilata, ponendosi come porta per ciò che la fisica quantistica, unita alla teoria delle stringhe o delle bolle (conosciuta come: Inflazione Caotica, idea proposta da Andrej Linde), sta proiettando la speculazione scientifica verso orizzonti sconcertanti, come quello della possibilità che esistano infiniti universi paralleli il nostro (l’Ipotesi del Multiverso).

Bidimensionalità, tridimensionalità, le esperienze einsteiniane in Agathos interagiscono, annullando spazi che definiscono estensioni differenti, scontrandosi per poi integrarsi a vicenda, in equilibri seppur dinamici (perché il “movimento” è di già contenuto negli elementi rappresentati, non tanto dal “vorticismo” a cui danno sembianza).

La “dottrina” diviene, così, pura componente artistica, in cui il magico e l’enigmatico si amalgamano con il “conosciuto”, con “l’accertato”, con il “sedimentato”.

Innegabile che, nei secoli, uno dei convincimenti che ha fornito misure concrete al fine di cibare la logica è divenuta la presenza di due elementi considerati “a priori”: lo spazio ed il tempo.

Il tempo, a seguito delle scoperte della fisica contemporanea, è stato “disintegrato”, quindi non è più un appiglio certo, ora Agathos smonta anche lo spazio, considerato nella sua componente più rilevante, cioè: la dimensione, per renderlo altro o, per meglio dire, un altrove, imperituro, in cui proiettare il bisogno di sapere che caratterizza la nostra specie.

A questo punto egli si affida all’a-dimensionale, ma pur sempre nel bisogno di conciliare la prospettiva del conosciuto con quella spirituale e filosofica.

Ecco che l’impronta Umanista scaturisce, tramite una dirompente misticità in cui il religioso e il laico si fondono assieme, in modo che il cosmo, e quella seppur lontana (ma vicina) realtà, viene analizzato tramite un logos razionale, in grado di includere il significato entro canoni specifici, ma anche per mezzo del sentimento, come poiesis incarnata all’interno “del senso del tutto” (così la definiva Rilke) al fine di dare ai significanti, a quelle componenti fisicamente percepibili dei segni (più o meno inquadrabili in ambito linguistico), la giusta valenza sensibile che giunge al commozionale quando la materia trattata è amata prepotentemente (al che non possono che  sovvenire alla mente pensatori come Leibniz, Humboldt, Cartesio, Hobbes e Spinoza).

Galilei affermava: “La matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo”. Anche la Bibbia sancisce come il Creatore abbia dato vita al cosmo “… secondo numero, peso e misura” (Sap.11, 20). Quindi un Dio “dell’ordine e non della confusione”, come disse Isaac Newton, “dell’amore apollineo e non del caos dionisiaco”, così come lo definì Mircea Eliade.

Energia, luce, simbolo, cavità oscure in cui introdurre il gene della conoscenza, quella conoscenza che, come Agathos sostiene, non considera il numero per quantità, ma per qualità, quindi cifra che esprime l’ordine primigenio, l’armonia, la possibilità di trovare pace là dove pare che la babele domini.

Perciò a fianco della dimensione astratta, in Agathos fa capolino quel Concretismo che, da sempre, con e per volontà etica, rincorre il miglioramento non tanto delle condizioni di vita nella contemporaneità, quanto tenta di accrescere il potenziale delle possibilità individuali di approccio ed analisi della realtà stessa, mirando ad affinare le capacità percettive del singolo dal punto di vista ottico, visivo e cinetico, ed assolvendo, nei confronti del fruitore, un ruolo educativo e didattico che, negli ultimi decenni, pare che molti artisti si siano scordati di mettere in opera in favore della rincorsa esasperata al protagonismo, al successo, all’edonismo, al “sensazionalismo”, per lo più risultati vani, perché privi di solida consistenza culturale, cioè di un vero e motivato Sapere.

 

 

VINCENZO SARDIELLO

Dall’Iperspazio allo Spazialismo Transgeometrico di Agathos

INVERNO TRANSGEOMETRICO – OLIO SU TELA 70X100 – 2016
 

I concetti di spazio e tempo nella storia dell’arte hanno da sempre esercitato un fascino particolare per artisti e teorici divenendo, in alcuni casi, delle vere e proprie colonne portanti per la produzione di idee e intuizioni che hanno contribuito all’avanzamento del pensiero e alla nascita di nuovi interrogativi.
Per comprendere l’universo adimensionale di Agathos è necessario esplorare nozioni e modelli lontani dal vocabolario del mondo dell’arte, testimonianti la sua contemporaneità e capacità di fondere, con un lessico artistico originale, la scienza e l’arte.
Agathos è innanzitutto un figlio del Novecento, il secolo che ha condensato in pochi decenni cambi di prospettive come mai nella storia delle idee e ha messo in discussione tutto, persino ciò che era considerato incontrovertibile, segnando un decisivo avanzamento di tutte le scienze.
Con il suo corredo di rivoluzioni scientifiche, il secolo breve è stato, tuttavia, portatore di lacerazioni e strappi tra il mondo scientifico e il senso comune.
L’artista escienziato Carlo Franzoso, da pensatore eretico, cerca con la sua produzione di ricucire questi strappi costruendo un lessico artistico-matematico che mira alla creazione di un sistema che oggettiva la relatività del pensiero, superando, di fatto, il dualismo da sempre presente fra oggettività e relativismo e ponendo al centro della sua azione lo spettatore, elemento essenziale dell’opera d’arte. Per realizzare questo suo progetto, tuttavia, occorre
sgomberare il campo dalle ambiguità epistemologiche presenti.
Il primo elemento da demolire è quell’alone di verità metafisica che accompagna da sempre la matematica laquale, contrariamente a quanto percepito dal senso comune, si regge su principi indimostrabili che necessitano esclusivamente di una fede cieca da parte
dell’utilizzatore.
Questa fede cieca subisce nel 1931 una clamorosa battuta d’arresto quando Kurt Gödel porta a conoscenza della platea scientifica due teoremi, detti “di
incompletezza”, che sembrano far sgretolare le certezze sino ad allora acquisite.
La soluzione a cui approda Agathos è la logica fuzzy, un sistema logicomatematico che sostituisce il principio di verità con quello di adeguatezza e permette di attribuire a ciascuna proposizione un grado di verità compreso fra 0 e 1.
Scompare, quindi, dal lessico dello scienziato e dell’artista un concetto che per secoli ha occupato la loro ricerca: la verità. La verità non è però la sola vittima di questa nuova visione del mondo. La scienza del XX secolo ha rivoluzionato i concetti di spazio e tempo.
Con l’avvento delle teorie einsteiniane sulla relatività si scopre che lo spazio non è più una componente piana a profondità zero, ma si trasforma in qualcosa di molle che viene deformato dalla presenza di una massa e si scopre, all’improvviso, l’inadeguatezza della geometria euclidea per descrivere l’universo.
Al contrario, si dimostra essere uno strumento utile la geometria ideata da Bernhard Riemann, una geometria che nasce da una lacerazione, ossia dalla negazione del quinto postulato di Euclide.
L’applicazione pratica conduce all’abbandono dell’interpretazione spaziale sulla base delle sole tre dimensioni.
Lo spazio si trasforma in qualcosa di curvo per la cui rappresentazione viene impiegato un diverso sistema di coordinate dette “gaussiane” e lo spazio e il tempo si fondono dando origine alla quarta dimensione.
Altre certezze vengono demolite dai fisici pionieri della meccanica quantistica che giungono a costruire una rappresentazione del mondo fondata sul comportamento degli elementi fisici su scala atomica e subatomica.
Dai loro studi si giunge all’elaborazione di tre principi che sono concettualmente rivoluzionari:
1) le informazioni contenute in qualsiasi sistema sono sempre finite e limitate;
2) la situazione di un sistema non è data esclusivamente dalla storia che l’ha prodotto;
3) la conoscibilità di un sistema è data nella misura delle sue relazioni.

La portata di queste tre intuizioni ha un impatto formidabile non solo sulla scienza, ma anche sul nostro approccio al mondo conoscitivo.
Si ha la consapevolezza che la realtà può essere compresa solo su base probabilistica. A questo punto sorge una contraddizione perché la meccanica quantistica e la relatività funzionano, ma sono tra loro incompatibili. Occorre quindi trovare una nuova teoria che riesca a far conciliare le due teorie.
La partita è aperta, e arriviamo qui al contemporaneo.
Due sono le teorie più accreditate: la teoria delle stringhe e la gravità quantistica; la sensazione però è che il cammino da compiere sia ancora molto lungo e in salita.
La straordinaria considerazione che possiamo trarre da tutto questo è che, in fondo, noi non viviamo l’universo per come ci viene descritto dalla fisica e dalla matematica, ma conduciamo la nostra esistenza trasportati dai sensi e dalle relazioni umane. Quello che non viviamo direttamente, tuttavia, è la realtà nelle sue componenti costitutive.
Di fronte a quest’apparente antinomia, che comunque tiene in equilibrio la nostra vita altrimenti assolutamente priva di senso, si inserisce l’artista
Agathos che, partendo dalle conoscenze dello scienziato, sviluppa il suo linguaggio artisticomatematico.
La transgeometria è lo sforzo estremo, dal punto di vista epistemologico, di umanizzare principi e concetti altrimenti assolutamente fuori portata.
La transgeometria si sviluppa in uno spazio pentadimensionale che, oltre alle quattro dimensioni – lunghezza, larghezza, profondità e spazio-tempo –, ha una quinta coordinata, di tipo qualitativo, ma a cui corrispondono valori ordinabili, legata alle proprietà cromatiche. Tale coordinata si muove nel range fra 0 e 1 e assume valore 0 se il punto ha il colore bianco assoluto, valore 1 se ha il colore nero assoluto. Il valore della quinta coordinata non
definisce la posizione del punto ma la sua colorazione, quindi la sua “individuazione”.
Secondo tale impostazione “fuzzy” la geometria dell’universo adimensionale è strutturata secondo scale di sfumature di enti geometrici elementari.
Agathos è ben piantato nel Novecento artistico e acquisisce a pieno le lezioni di Mondrian, Kandinskij
e Fontana. Il suo sforzo di andare oltre lo conduce a rappresentare la realtà nei suoi elementi essenziali, frazionandola nei campi di forza che costituiscono le leggi base della natura dove domina il principio fondamentale dell’equilibrio.
I riferimenti cromatici di Agathos, nel range bianconero, sono fortemente ispirati allo Spirituale nell’arte di Kandinskij, che conferisce al colore una
funzione spirituale. Il colore può esercitare due azioni sullo spettatore: un “effetto fisico”, superficiale e basato su sensazioni momentanee,
determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro, e un “effetto psichico”, dovuto alla vibrazione spirituale (prodotta dalla forza psichica dell’uomo) attraverso cui il colore raggiunge l’anima.
La realtà diventa un velo di Maya e cela le contraddizioni e il caos.
Il Caos, la legge suprema che regola il tutto. Ma il caos esiste o è il modello matematico che utilizziamo a essere inadeguato alla spiegazione di processi
universali? E, soprattutto, i processi sono universali o basati su concetti che al momento ci sfuggono?
Il lavoro di Agathos è inoltre strettamente legato al percorso tracciato da uno dei grandi artisti italiani del Novecento, Lucio Fontana.
Per chiunque si misuri con il concetto di spazio è ineludibile un confronto con il caposcuola dello Spazialismo. La ricerca di Fontana non si concretizza
esclusivamente nella rottura con la bidimensione, rappresentata dalla tela lacerata, ma dalla decostruzione che mira all’essenziale e alla ricerca
di un altrove spaziale capace di dare una rappresentazione reale dell’esistente. Per fare ciò, Fontana non esita a rompere le regole considerate inviolabili per la pittura.
La creazione del linguaggio transgeometrico di Agathos si inserisce a pieno titolo nella famiglia dello Spazialismo, e va oltre, perché non ha bisogno di
lacerare la tela per trovare altro rispetto alla bidimensionalità, ma è costruttore di nuove dimensioni. Lo sforzo è notevole ed è teso a creare un nuovo paradigma interpretativo che schiaccia tutte le certezze e tutte le verità.
Lo spazialismo transgeometrico si basa su una semiologia complessa che riesce a confermare e a rafforzare maggiormente le componenti costitutive
dell’intera opera adimensionale, che designa un universo in cui le leggi fisiche e matematiche vengono applicate in una descrizione puntuale e irriverente del mondo di cui lo spettatore scopre all’improvviso di non conoscere nulla e che disvela la realtà nella sua complessità rendendo lo spettatore componente creativo dell’universo che lo circonda e trasformandolo in scienziato o, forse, in artista.

 

 

 

DANIELE RADINI TEDESCHI

DESKTOP TRANSGEOMETRICO – olio su tela – 100X80 – 2013

Agathos e il suo Universo Adimensionale

 

Agathos si rifà a quel principio che vede risolta la dualità tra colore e forma non più nella sintesi di sensazione-colore e struttura-forma ma nell’accentuazione del colore in funzione strutturale. Da qui prendono origine le geometrie e le diverse costruzioni dell’artista atte ad esprimere i suoi pensieri e i suoi moti dell’animo. Egli riprende la concezione di scomposizione dell’immagine in blocchi, quadrati, triangoli, dipinti con pennellate nette e ben definite in modo sequenziale, come se fosse rispettata una matrice base che in virtù di multipli o sottomultipli si ripete seguendo regole fisse, matematiche e algebriche. La realtà per Agathos viene letta attraverso un logos razionale in grado di disciplinarla entro canoni, schemi; come se un ordine intellettuale prevalesse sempre sulla coscienza, su quel flusso di passioni stemperando l’impetuosità del sentimento. La ricerca della verosimiglianza non è nel raffigurare con realismo il narrato o la psicologia dei personaggi – tra l’altro latitanti in ogni sua opera – ma è nell’attingere a un ordine superiore dove tutto trova ragion d’essere e fondamento. Egli penetra la realtà oltrepassando le mere sembianze, i contorni definiti. La produzione dell’artista potrebbe trovare giustificazione nella filosofia razionalista che vede nelle leggi e nei principi una lettura del vero.  In fondo la civiltà attuale è quella del progresso e del capitalismo e Agathos ne dà quindi una interpretazione coerente con i suoi tempi, con la sua epoca. Le “zone” delle sue opere constano di colori piatti, luminosi, espansi e ogni colore si accorda con la cromatura successiva al massimo del valore, il confine tra le zone non è limite ma rilancio sicché ogni colore acquisisce quella potenza da permeare tutto lo spazio pittorico. Un’opera senza orpelli, sintetica nel suo significato sostanziale, riduttiva e assoluta al contempo. Il colore sostiene, accresce, accentua gli altri in un crescendo lirico senza fine. Poiché l’opera non riproduce fedelmente e direttamente l’immagine, Agathos non sceglie i colori secondo un criterio realistico, bensì saranno questi che attribuiranno un senso a ciò che si vuole raffigurare attraverso un processo di immedesimazione nell’immagine, di possesso profondo della realtà, dello spazio. La sensazione claustrofobica che ne deriva, come ad essere inghiottiti da un labirinto senza uscita, sembra a volte richiamare immagini apocalittiche del tempo che viviamo e della realtà che ci sommerge. Una realtà che sembra avvolta da un magma incandescente che fa da contorno ad un centro pulsante, non v’è figura che riesca a distinguersi ma solo un fluttuare aggrovigliato di sensazioni. L’arte, con le sue combinazioni, sembra voler penetrare le supreme verità dell’essere, attingere alle armonie dell’universo; il ritmo che si genera nel quadro confluisce in un climax di grande intensità portando i colori, le linee, le geometrie ad un livello di eccitamento estatico. La produzione di Agathos ha tuttavia radici e affinità principalmente in quelle correnti nate in seno all’età del funzionalismo di natura costruttivista si pensi al Cubismo e principalmente al Suprematismo russo. Tipica del primo caso è quella frammentazione di oggetti e di geometrie nella trama spaziale. Il quadro non è più una semplice superficie per proiettare il raffigurato bensì diviene il soggetto principe in cui si organizza la rappresentazione della realtà (in senso soggettivo si intende). La sua arte rifugge la prospettiva, il rilievo e tutte quelle tradizionali tecniche di raffigurazione per arrivare quasi a un grado zero. La scomposizione geometrica trova qui mirabile espressione attraverso quadrati e triangoli, come per i cubisti erano le forme “del cono, del cilindro e della sfera”. È la tela che crea la realtà e non viceversa, mediante un gioco di piani sovrapposti, di profondità, non vi è alcun oggetto ma un equilibrio di livelli colorati che assumono un carattere simbolico. A rivelare la sostanza è la tonalità cromatica più o meno luminosa.  Il rappresentare sulla tela varie entità immateriali, quali l’energia, il movimento e la luce è anche tipico dei futuristi. La composizione attraverso l’uso del colore assume un ritmo proprio, incalzante, vivace, indipendentemente dal raffigurato in sé. Evidente è poi l’analogia tra l’opera ‘Forme uniche della continuità nello spazio’ di Umberto Boccioni, importante esempio di scultura futurista in cui il movimento nella solidità e continuità delle masse è il principio ispiratore e l’opera ‘Movimento Prospettico’ di Agathos. Si noti come in ambedue le figure, se viste nel loro profilo, è delineata una immagine priva di arti, ridotta a forme geometriche stilizzate. Il movimento permette la fusione di oggetto e spazio e l’artista intensifica il dinamismo del reale. E ancora la fiducia che l’harmonia mundi possa trovare risoluzioni in equazioni e proporzioni matematiche poste alla base dell’esistenza accomuna nuovamente Agathos all’idea dei futuristi, si pensi che nel 1914 in Zang Tumb Tumb, Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica, Marinetti scrisse “l’amore della precisione e della brevità essenziale mi ha dato naturalmente il gusto dei numeri (…)”; ancora nel Manifesto della Matematica futurista del 1940 affermò come “Il Futurismo italiano rinnova oggi anche la matematica (…) La nostra [è] matematica antifilosofica, antilogica, antistatica”.

Del Suprematismo invece è la volontà di realizzare forme dallo stato puro ed elementare senza rispettare quelle regole classiche di simmetria e di equilibrio delle masse. L’arte diviene sciolta da finalità pratiche e ciò che guida l’artista è la pura sensibilità plastica.

Echi di modelli passati nella produzione pittorica di Agathos sono da me ravvisati anche           nell’ambito milanese degli anni trenta e quaranta in quella tendenza non figurativa che inquadra i primi “astrattisti geometrici” italiani, in particolare si noti la produzione pittorica di Manlio Rho, Carla Badiali e Mario Radice. Origine di tale astrattismo sono quei movimenti già fioriti in territorio extraeuropeo come l’Olanda, basti pensare al gruppo De Stijl da cui deriverà la nuova arte nata dall’incontro di linee, orizzontali e verticali.

Il nuovo esempio di bellezza nell’arte è proprio dato dalle geometrie e dalla razionalità dove tutto trova equilibrio, ordine e rigenerata veste poetica. Allo stesso modo di Mondrian l’artista Agathos trasforma la superficie (empirica) in entità matematica, seppur vi diverge nell’uso del colore che in questo si carica di una varia tavolozza cromatica, di ombre, di sfumati e non solo nell’applicazione dei fondamentali in campiture. Attraverso tale mezzo espressivo l’artista non tende a influenzare lo spettatore emotivamente poiché prospetta una realtà ordinata, priva di contraddizioni.

Non si esclude inoltre, a livello esegetico, quella dimensione metafisica che il teologo Jacques-Bénigne Bossuet, nel XVII secolo, vedeva riflessa in “una concezione mistica della geometria come consistenza visibile dell’assoluto divino” rifacendosi anche a Leibniz, Humboldt, Cartesio, Hobbes e in particolare a Spinoza il quale nel suo trattato ‘Ethica more geometrico demonstrata’ affermava come Dio fosse nell’ordine geometrico della natura. In realtà il linguaggio geometrico non è altro che la prosecuzione di quelle esperienze antiche che fin dal neolitico vedevano la riducibilità del reale in forme quali il cerchio, il quadrato, il triangolo; ancora di astrattismo geometrico si troveranno esempi nella decorazione greca antica di età preclassica, nelle decorazioni romaniche, gotiche, rinascimentali e nelle opere di artisti quali il Cambiaso nel 500 o ancor prima in Piero della Francesca.

Quest’ultimo nei suoi trattati quali De perspectiva pingendi e Libellus de quinque corporibus regularibus propugnava l’origine matematica della bellezza. Si notino infatti molte sue opere in cui, seppur partendo dal figurativo classico, l’utilizzo del cerchio, del cilindro, del cono contraddistinguono le figure e i personaggi. Proporzioni che Leonardo da Vinci condivise con l’Uomo di Vitruvio. Agathos applica lo stesso rigore alle sue composizioni geometriche.

Ebbene il mistero dell’intelleggibilità del cosmo a cui Agathos, a mio avviso, allude in molte sue opere, specie nelle raffigurazioni primordiali e naturali, negli angoli di universo o negli spazi può forse essere spiegato proprio facendo ricorso a tali rapporti, a tali strutture. Lo stesso Galilei scriveva come “la matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo”. Anche il linguaggio biblico afferma come il Creatore abbia fatto l’universo “secondo numero, peso e misura” (Sap.11, 20). Agathos, seppur in linea con le correnti sopra esposte e succedutesi storicamente, è in realtà antesignano di un linguaggio del tutto nuovo rispetto agli stilemi del passato e attraverso questo vuole rendere decifrabile quel Principio arcano che tutto muove, quel Principio che pone ordine nel caos, che afferma l’armonia nel cosmo. Alla luce di tale lettura la matematica o la geometria non assurgono a mero strumento scientista incompatibile con la spiritualità o l’etica bensì appaiono come loro ausilio poiché cogliere l’oggettività del mondo implica credere in un Dio creatore, un Dio “dell’ordine e non della confusione” come disse Isaac Newton.

 

 

LUCIA DENDISOVA

L’Espressionismo Matematico di Agathos

I SETTE GRADI DELL’ANIMA – olio su tela – 100X80 – 2013

 

Il percorso di Agathos è un originale dialogo fra l’artista e la scienza:  il ciclo di opere intitolate ‘Universo Adimensionale’ rappresenta uno degli esiti più interessanti confluiti nel simbolismo espressionista. Professore di matematica, pittore autodidatta, artista non accademico carico di una dirompente misticità, coniuga l’amore per la scienza matematica ad un linguaggio nuovo, spiccatamente soggettivo. Agathos esegue una pittura libera, pronta ad esplodere sulla tela. Pennellate e ricerche di colori vicini all’espressionismo assumono a tratti il sapore di una seria riflessione sulla scienza e sui suoi limiti. Esplora le dimensioni più profonde e misteriose dell’esistenza, cerca di evadere dalla dottrina richiamando qualcosa di magico ed enigmatico. I suoi quadri ci pongono davanti ad una serie di paradossi: le opere sono caratterizzate da tratti liberi, anarchici, lontani dalle regole accademiche; ciò pare una sorta di ribellione agli
schemi ed ai teoremi della matematica. Una contrapposizione fra la libertà espressiva e le forme geometriche, una lotta continua ed interiore fra razionale e irrazionale, fra spirituale e materiale. Al tempo stesso il rapporto fra arte e scienza è osservato in termini non conflittuali, ma complementari, due versanti che sembrano incompatibili sono interdipendenti l’uno dall’altro, rappresentano due facce della stessa medaglia, frutto del medesimo impegno conoscitivo dell’uomo. Agathos, toscano di adozione, non prende spunto dagli illustri suoi conterranei rinascimentali, non si fa influenzare dalla loro potenza ed assordante presenza, ma corre libero ed originale per la sua strada. L’artista usa il colore in chiave espressiva e psicologica. Il suo stile viene enfatizzato da una tavolozza accesa, febbrile, dalla stesura impetuosa di pennellate pastose. Tutto ciò confluisce in opere cariche di emotività e profondità interiore. Il colore, molto vivace, vistoso, forte e pieno di energia, assieme alla pittura, influenzata dalla concezione matematica e geometrica, con qualche accenno figurativo, tratteggiano uno stato d’animo svincolato da qualsiasi necessità rappresentativa. Agathos cerca di liberarsi da qualsiasi dovere compositivo per giungere ad un’opera che si sviluppi direttamente sotto le mani del pittore.
Protagonisti dei quadri di Agathos sono le figure geometriche, gli spazi bidimensionali e tridimensionali, interattivi e densi di colore che creano composizioni pulsanti che ci appaiono alternativamente calme e dinamiche, quiete ed aggressive. Questo arricchimento del fattore dinamico con rappresentazioni di cerchi e di forme spesso tendenti al chiuso possiedono una carica vitale, sia numerico-geometrica, che cromatica, assolutamente inedita. Il dinamismo è intrinseco alla forma, coinvolge lo spazio e, togliendo alla composizione quel che di “olimpico”, quindi di atemporale, di idealistico, di metafisico, rivela il pensiero di Agathos carico di valenze esistenziali. Il pittore articola il suo discorso con maggiore agilità e sensibilità verso le attualità, pur rimanendo allo stesso tempo analitico e sintetico, conchiuso ed aperto, riflessivo e propositivo. L’obiettivo di Agathos è di manifestare all’osservatore la capacità di immaginare un mondo diverso, attraverso una valorizzazione delle pulsioni più profonde, pulsioni che l’artista trova utilizzando una chiave nuova per la pittura: la scienza matematica.

 

 

DOLORS COLOMN, MANSFREET

Revista ‘Agathos’ – Barcellona

«Del silencio a la obra de arte: de la obra de arte a la emoción»

En su libro “Las Musas”, Walter F. Otto escribió unas líneas en las que deshace ese momento anímico que precede al nacimiento de la obra poética, sea pintura, música o literatura. Es un tiempo sin aroma, imperceptible frente al reloj humano, pero, un tiempo convulso y eterno en la infinitud del alma del artista.

El silencio, hacedor de todo, esparce las semillas de esa inopinada sensación que algún día, alumbrará alientos que necesitan la belleza para recomponerse y seguir su destino.

Son momentos vacíos que estallan en el Ser del poeta, del artista que ahogado por la impaciencia, arrebatado por el deseo de expresar, se desmorona. Entonces, hecho trizas, casi desguazado por lo que ha visto dentro de sí, llegan otros momentos de fruición en los que el mismo artista saca fuerzas de flaqueza, se recompone de su ruina y, como tocado por un milagro, alcanza la expresión, las palabras, las notas, cuando se trata de Carlo Franzoso, alcanza espacios en los que uno puede transitar desde su invisibilidad y si lo desea perderse en el laberinto que, desde el primer segundo, hará suyo.

Monsieur Proust, con palabras, recrea como nadie estos instantes que ralentizan el existir, como el pintor Carlo Franzoso, también los descompone en pequeños fragmentos de vida que si el lector logra reunir de nuevo, descifrará un escenario existencial en el que podrá calmar su sed de emoción, de sensaciones, de encuentros y desencuentros, de recuerdos que se resisten a ser olvidados pero que, lo quieran o no, son pasado, no han envejecido, solo cristalizado, algunos a medio vivir, otros descompuestos por la decepción, otros a medio sembrar…

El devenir de la vida nos colma de recuerdos, toda vivencia trenza en su destino un futuro recuerdo que en la memoria de uno, perderá los detalles que tanto amó, se transformará en otra cosa, y en los trazos de la imaginación, muy a nuestro pesar, las líneas se difuminarán.

Pero un día, el futuro, nos acercará a una pintura, una melodía, un fragmento de palabras. Entonces, por unos instantes, el lector, el observador, rescatará de las marmitas del tiempo, ese ramo de sensaciones y emociones cuyos aromas, se le escaparon sin quererlo, rescatará del pasado aquellas líneas difuminadas que no es capaz de recordar con precisión, pero que su alma vivió.

Cuando esto ocurre, significa que la obra de arte ha obrado el milagro, ha culminado su sentido, el que el poeta, el artista, en aquel momento convulso de hace un instante o, lo que es lo mismo, cientos de años atrás, supo inmortalizar para que alguien, años después, desde un futuro cualquiera pudiera «recordar y reconocer» aquello que fue.